Qualche “post fa” avevamo iniziato un ideale giro d’Italia ad alto tasso di calorie, di regione in regione per un tour gastronomico tra la cucina tipica italiana!
Avevamo iniziato tra canederli, spritz e frico a nordest per fermarci poi davanti ad una invitante sbrisolona in Lombardia. Qui trovate il primo post della serie “Eh, ma come si mangia in Italia…”!
Ora ci spostiamo ad ovest iniziando dalla Valle d’Aosta. In una regione famosa per le creste alpine altissime, gli inverni rigidi e…gli alpeggi, il prodotto più celebre non può che essere il formaggio!
La Fontina, in particolare, che diventa una deliziosa fonduta da accompagnare con i crostini.
E poi ci sono i salumi: il lardo di Arnad, il prosciutto alle erbe di Saint Rhemy en Bosses e il Boudin.
Quest’ultimo nasceva come sanguinaccio, ma ora viene prodotto con la rapa rossa che ne mantiene il colore e il sapore leggermente dolce, ma rendendolo decisamente meno impegnativo!
Un tagliere di salumi e formaggi non può che essere accompagnato dalle castagne al miele e dal tipico pane nero con fichi, noci e uvetta.
Un antipasto meraviglioso…che vi piacerà talmente tanto da farlo diventare un pasto intero!
Entriamo ora in Piemonte, una terra che profuma di vino corposo e di brasato, di arrosti e di cioccolato.
Sapete cos’è l’”anulòt”?
E’ un grande anello che un tempo serviva a dare la forma (rotonda, ovviamente!) a questo tipo di pasta ripiena. Da questo attrezzo deriva il termine “agnolotti”, anche se nel corso dei decenni la loro forma è diventata rettangolare.
Gli “agnolotti del plin” sono tipici della zona delle Langhe e del Monferrato, ma si trovano in tutto il Piemonte; un tempo erano un modo intelligente per non buttare gli avanzi di arrosto che, tritati, finivano nel ripieno della pasta!
Ah, già: cos’è il plin? Semplice!
E’ il pizzicotto che si dà alla pasta per chiuderla. Un’onomatopea che rende benissimo l’idea…
Un cibo, quello piemontese, anch’esso fortemente legato al territorio e alle tradizioni.
E visto che da queste parti si producono riso, fagioli, vino rosso… metteteli insieme, aggiungete lardo e salame e ne uscirà la Panissa vercellese: un risotto delizioso che accompagnerà le fredde cene dell’alto Piemonte.
Già, le giornate fredde, magari con la neve, sono perfette per ripararsi in uno dei gli storici caffè torinesi.
Qui ci si può sbizzarrire tra cioccolata calda e caffè, ma il must da provare è il bicerin.
In questo bicchierino di vetro vengono miscelati (in dosi segretissime!) caffè, cioccolato e crema di latte; una coccola dolce che risale alla fine del 1800 e che fu inventata nell’omonimo locale in pieno centro a Torino.
Sempre in tema di dolcezza, chiudiamo il nostro viaggio gastronomico piemontese con il bonet.
Questo antichissimo dolce sembra risalga addirittura al XIII secolo, quindi ben prima che il cacao arrivasse in Europa, mentre oggi esiste praticamente solo la versione con cioccolato e amaretti.
E’ una specie di budino, il bonet. Il suo nome significa “cappello” in piemontese e l’origine sembra avere due fonti diverse. La prima vuole che derivi dal nome dello stampo con cui si preparava: il bonet ed cusina (“cappello da cucina”), che – appunto – ricordava un piccolo cappello.
La seconda, più romantica, vuole che il nome derivi dal fatto che in tempi antichi di eleganza e raffinatezza piemontese, l’ultima cosa che si faceva prima di salutare era rimettersi il cappello. Allo stesso modo, l’ultima cosa che si fa dopo una cena, prima di salutare, è mangiare un buon bonet.
Inutile dire quale sia la nostra versione preferita!
Riprendiamo il nostro viaggio culinario e scendiamo velocemente lungo le strade che superano le montagne, giù verso il blu del mar ligure.
Già ci sembra di respirare il mare, il profumo dei fiori, delle erbe aromatiche e del pesce…
La Liguria è terra di profumi: delicati, mai eccessivi, ma molto ben presenti. E’ terra di aromi, di pinoli e di focacce; piatti semplici, abbinamenti perfetti che non stancano mai.
Il basilico la fa da padrone, naturalmente, e il “pesto genovese” qui è una cosa seria!
C’è un disciplinare molto rigido che determina ingredienti e preparazione: la ricetta risale alla metà del 1800 e con le tradizioni non si scherza!
Basilico fresco a foglia piccola, olio di oliva, parmigiano, pecorino, aglio pinoli. Fine. Tutto il resto è una goffa imitazione!
Ovviamente il pesto…si pesta! Nel mortaio di marmo e con il pestello di legno.
Scordatevi di usare il frullatore…sennò che pesto è?!
Tutta l’importanza della preparazione è ben spiegata in questa ricetta
Ah…gli unici formati di pasta che si mangiano con il pesto, sono le trofie e le trenette!
Sappiatelo!
Un altro piatto da non perdere in Liguria sono i “pansoti” alle noci. Noi li adoriamo, per la cronaca!
I pansoti sono una specie di raviolo ripieno con un misto di erbe aromatiche e vengono conditi con un sugo alle noci. Sono una libidine esagerata…ehm….si capisce che ne siamo dei fans scatenati?!
Terra di prodotti semplici, la Liguria. Come le focacce: pane e olio, con l’aggiunta di formaggio cremoso dalle parti di Recco.
Mentre con i ceci qui si ricava una focaccia spettacolare: la farinata.
Pensate che intorno alla metà del 1400 un editto vietava di usare olio di bassa qualità per preparare la farinata! Roba seria qui, dicevamo, il cibo!
Farina di ceci, acqua, olio …di quello buono, sale e una grande teglia rotonda e molto bassa.
Ecco quello che serve per una delizia croccante che finisce in un attimo!
Lasciamo la terra ligure e scendiamo poco più a sud.
La Toscana è terra di vini, di carni e di molte altre delizie. Per fare un elenco di cibi tipici toscani non basterebbe un’enciclopedia!
Si va dai piatti poveri della tradizione, come la ribollita, la pappa al pomodoro o il lampredotto fino ai più raffinati salumi, formaggi per finire con il cinghiale e la regina delle portate toscane: la fiorentina.
La “ribollita” è una zuppa di pane, fagioli, verza e cavolo.
Veniva cotta in grandi quantità, bollita e – appunto – ri-bollita più volte per scaldarla.
E’ un ottimo piatto invernale che salvava molte cene durante la dura vita nelle campagne toscane.
Così come la pappa col pomodoro: altra zuppa di pane raffermo, pomodoro, olio d’oliva, basilico e aglio.
Oppure la sua versione “variazione sul tema”: la panzanella. Quest’ultima ha una consistenza più compatta e viene preparata con l’aggiunta di cipolla rossa e un po’ di aceto.
Per la verità (non ce ne vogliano i puristi!) nei nostri pranzi toscani abbiamo trovato anche diverse versioni di entrambi i piatti, con commistioni di ingredienti che rendono i due piatti abbastanza simili tra loro.
Quella della foto, ad esempio, è una pappa al pomodoro ma con la cipolla !
Che ne dite, è ora di un secondo?
Se vi viene un languorino durante una visita in centro a Firenze, potete fermarvi ad uno dei tantissimi chioschi di “lampredottai”.
Il panino col lampredotto è una prelibatezza; vedrete pentoloni enormi bollire fin dal mattino e verrete travolti dai profumi del brodo di verdure dentro al quale viene cotto lo stomaco di bovino.
Trippe, quindi, con una cucchiaiata di salsa verde. Ma come se non bastasse, il tutto viene sistemato dentro ad un panino…ma prima il pane viene rapidamente inzuppato nel brodo! Si, insomma: un piattino leggero per uno spuntino veloce veloce!
Da provare, magari in inverno…
Se vi piace il cinghiale, sappiate che in Toscana ne potete trovare in abbondanza, sia nei ristoranti che nelle sagre di paese!
Quello in umido, a spezzatino, è forse la versione più diffusa.
E infine veniamo a lei: la regina delle tavole toscane e della cucina tipica italiana. La fiorentina!
Qui non si parla di carne alla brace: si parla di un pezzo di storia e di tradizione che si perde indietro nei secoli. Alcuni fanno risalire la fiorentina (il taglio di carne, la forma e la modalità di cottura) ai tempi dei Medici, ma altre fonti ne collocano le origini ben prima.
La cosa certa è che nel periodo dei Medici si teneva, la sera di San Lorenzo, una grande feste in città, con dei grandi falò sui quali si era soliti cuocere, appunto, il taglio di carne con l’osso a “t”.
Sembra anche che il nome “bistecca” derivi dalla storpiatura di “T-bone steak” che alcuni ospiti nobili inglesi esclamarono, proprio durante una delle notti di San Lorenzo, nel vedere la carne in cottura!
E altrettanto certo è che quando chiedete una fiorentina, sappiate che non può che arrivarvi almeno un chilo di carne e soprattutto non vi azzardate a chiederla ben cotta. La fiorentina si cuoce 5/7 minuti per lato, e siccome deve essere alta almeno 4 centimetri…vi deve arrivare al sangue!
Se non vi piace al sangue, non scegliete la fiorentina suvvia…!!
Se ancora avete uno spazietto nello stomaco, un dolcetto per finire è d’obbligo.
E cosa in Toscana, se non i cantucci con il vin santo?!
…e se avete mangiato troppo, non vi preoccupate: basta una passeggiata tra gli ulivi e ne godrà il corpo e l’anima!