Aguas Calientes è un posto surreale. Un villaggio sperduto sulle Ande, che sembra uscito dalla penna di un romanziere. E’ un villaggio termale, come il nome lascia intuire. E’ il punto di partenza per il sito archeologico di Machu Picchu e si sviluppa lungo i due lati del binario ferroviario. Il treno, infatti, è l’unico mezzo di trasporto con cui si può raggiungere il villaggio dopo aver percorso, da Cuzco, l’intera vallata del fiume Urubamba.

Il binario è la strada principale del villaggio; il suo marciapiede è il punto d’incontro di tutti, il fulcro della vita “mondana” fatta di qualche birra e chiacchiere in molte lingue del mondo.  Un posto d’altri tempi, dove tutto accade lungo il binario. I tavolini dei bar e dei ristoranti si alternano alle bancarelle che vendono souvenir per turisti, vestiario caldo e materiale da trekking. A seicento metri di dislivello sopra le nostre teste c’è infatti il punto d’arrivo del glorioso Inca Trail.

Sopra ai binari, venditori di qualsiasi cosa: maglioni e calze di alpaca, foglie di coca contro la fatica dell’altitudine e cibo, soprattutto. Lungo il binario si ammassa chi aspetta il treno, una sorta di assalto alla diligenza per accaparrarsi i posti migliori.

Il convoglio arriva preannunciato da un gran rumoreggiare di clacson e sferragliare di metallo. I venditori lasciano velocemente i binari per il marciapiede. I passeggeri salgono, poi il nulla. Rimane chi pernotta, isolato dal mondo nel cuore delle Ande.

Passiamo due notti in questo villaggio: l’ideale per adeguarsi ai tempi andini. Nessuna fretta: un paio di bagni nelle calde acque della piscina termale, tutto intorno la cornice delle montagne che incombono cupe.

All’inizio del villaggio partono i tredici tornanti che si inerpicano verso l’ingresso del sito archeologico. Piccoli minivan partono ogni mezz’ora per chi non ha voglia di sudare un paio d’ore di cammino ed arrivare a piedi.

Saliamo due volte: la prima di pomeriggio, per la visita classica alle splendide rovine di quella che fu la più grande ed importante città del Sudamerica in epoca precolombiana e per decidere che il nostro approccio a questo indescrivibile luogo magico avrebbe potuto essere diverso…

Il giorno successivo saliamo prima dell’alba. Piove e i duemilacinquecento metri di altitudine si fanno sentire nelle ossa. Intorno a noi le nuvole basse nascondono le rovine ed acuiscono il silenzio delle montagne. Alle sei del mattino siamo solo in 5 dentro al sito.

Ci sediamo nel punto più alto dell’area archeologica, proprio dove finisce il Camino Inca. Con il passare del tempo le nubi si diradano e la maestosità dei secoli si svela poco a poco.

Davanti ai nostri occhi, dietro alle rovine, svetta la nostra prossima meta. Huayna Picchu, il monte che sovrasta le rovine e dalla cui vetta si gode di uno dei più bei panorami delle Ande…

Approfittiamo del fatto di essere entrati tra i primi per prepararci all’arrampicata. La scalata è lunga e piuttosto impegnativa, più che altro per il terreno parecchio scivoloso. Pochi affrontano la salita insieme a noi: le condizioni meteo non favorevoli suggeriscono alla massa la più tranquilla passeggiata tra le rovine.

Dalla cima ci sporgiamo senza fiato. Forse il vento tagliente, forse il senso di immensità delle montagne. Dal fondo, attenuato, il rumore del turbolento fiume che sembra abbracciare la cittadella antica. Sulla sinistra i tornanti polverosi faticosamente strappati alla foresta.

Immersi nel silenzio, osserviamo in silenzio…

Anche se la discesa è molto più agevole, approfittiamo di un piccolo van per tornare al villaggio. Iniziamo la serie dei tornanti quando notiamo due bambini che sulla prima curva, salutano sbracciandosi. Scendiamo e al tornante successivo gli stessi due bambini che si sbracciano.

Allucinazioni da altitudine? Ai tornanti successivi gli stessi due bambini lì a salutare e via così, fino alla fine della strada. All’ultima curva l’autista li fa salire e concede loro di chiedere qualche spicciolo per l’impresa di essere riusciti, tagliando e correndo per la foresta, ad arrivare prima di noi ad ogni curva.

Sorridiamo a questo rodato giochino per i turisti. In fin dei conti, da queste parti, ci si guadagna da vivere anche così…

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