Dopo quasi una settimana in Guatemala, arriviamo a Chichicastenango.
Il famoso mercato si tiene due volte la settimana: il giovedì e la domenica. Fin dall’alba i mercanti arrivano in paese con la loro merce sulle spalle, trasportata in grossi teli coloratissimi annodati e stracolmi. Le donne portano i sacchi sulla testa, perché sulle spalle, dentro le fasce altrettanto colorate, ospitano i loro piccoli bambini.
Arriviamo il mercoledì pomeriggio e sfruttiamo le ultime ore della giornata per vedere il paese. Non c’è molto: un mercato stabile in muratura, su due piani. La Cattedrale di Santo Tomas, dove ancora si mescolano riti cattolici e retaggi indigeni. La Chiesa risale infatti al 1540 e venne costruita sopra ad un antico altare maya. Nessuno era riuscito, in alcun modo, a coinvolgere la popolazione locale di etnia Quichè nel nuovo rito cattolico, fintanto che il sacerdote Francisco Ximenez, all’inizio del 1700 introdusse nei riti cattolici la lettura del Popul Vuh, il libro sacro del gruppo Maya locale.
Lungo la celebre scalinata della Chiesa si sistemano le donne con i bambini per vendere i fiori per le cerimonie; ai piedi un piccolo altarino brucia incenso e affumica l’aria intorno.
Molti bambini cercano di racimolare qualche quetzal facendo i lustre: lucidando le scarpe dei turisti stranieri o di qualche abitante del paese, un po’ più facoltoso.
Si propongono anche a noi, ma sfortunatamente per loro indossiamo scarpe da tennis di pelle bianca… non siamo buoni clienti… quand’ecco si avvicina orgoglioso un bimbo che ci mostra il lucido bianco gridando: “hay blanco, tambien”.
Rifiutiamo l’offerta, ma la sensazione è quella di aver guadagnato un piccolo amico che molto difficilmente ci abbandonerà durante la nostra permanenza in paese…
Alloggiamo in un hotel molto semplice, con l’acqua razionata. Non è un problema di hotel, perché nell’intero paese l’acqua è razionata. Ironizziamo con il gestore sul fatto che i turisti a cinque stelle, finite le scorte nelle cisterne, avranno lo stesso problema.
Ci svegliamo al mattino prima dell’alba. I venditori arrivano prima del sole e noi, con loro.
Ci sistemiamo sui gradini di Santo Tomàs e aspettiamo. Non sappiamo cosa aspettare. Non si sa cosa aspettarsi, in Sudamerica, ma basta aspettare e qualche cosa succede.
Arrivano infatti i primi venditori, montano i precari banchetti di legno, ripongono i loro sacchi a terra e iniziano a sistemare la merce. Un uomo accende il braciere dell’incenso. Quando arrivano le prime donne, l’aria è già piena di fumo.
Si sistemano sui gradini con i loro secchi di plastica pieni di fiori: ognuna al proprio posto. I bambini più piccoli sistemati nelle fasce, mentre i più grandi giocano a rincorrersi su e giù per i gradini.
Si avvicina l’ora della colazione e scegliamo uno dei tanti locali con i tavolini di plastica e le tovaglie in stoffa coloratissima.
Il giovanissimo cameriere sgrana gli occhi quando gli chiediamo di portarci…quello che mangerebbe lui!! In fin dei conti, anche questo è un modo per apprezzare la cultura locale! Arrivano tortillas di mais, formaggio di capra e patate fritte con il ketchup. Due tazze di caffè e una non identificata brodaglia bianca dolciastra con, forse…cereali.
Non male il regime alimentare di inizio giornata…!!
Ci rituffiamo nel mercato che, nel frattempo, ha preso vita… quando veniamo interrotti da una voce, dietro di noi: “hay blanco, tambien! Soy el solo a Chichi…!”. Il nostro giovane amico lustre che riprova orgogliosamente a dirci che è l’unico in tutto il mercato ad avere il lucido da scarpe bianco! Ringraziamo, ma decliniamo…
Il mercato è un’esplosione di colore, di rumore, di contrattazioni, di turisti che fotografano e che comprano qualsiasi inutilità. Si possono trovare bei pezzi di artigianato, stoffe, maschere in legno, coperte colorate con motivi floreali…ma è necessario avere pazienza, saper cercare e saper distinguere.
Anche i venditori, se siete davvero viaggiatori curiosi ed interessati, vi sapranno distinguere. Vi distingueranno dalle orde di turisti mordi e fuggi, quelli che arrivano dopo le dieci del mattino e se ne vanno prima delle 17.
Il mercato di Chichicastenango è qualcosa che va oltre la semplice economia o il denaro; è qualcosa che trascende la materialità per diventare mistico, quasi magico.
La prima vendita della giornata è accompagnata da una specie di rito, fatto con le banconote guadagnate: la carta moneta viene sventolata, in una sorta di segno della croce accompagnato da un mantra incomprensibile. E’ di buon auspicio per i guadagni della giornata.
A Chichi, come è abitualmente chiamato dai locali, si contratta, come in tutti i mercati del mondo…ma qui c’è un limite sotto il quale i venditori preferiscono rinunciare alla vendita. Il limite della dignità e del valore del proprio lavoro…