Dodici ore di autobus separano Santa Cruz de la Sierra da Quillacollo. Decidiamo di viaggiare di notte: i pullmann che collegano il “terminal bimodal” di Santa Cruz con Cochabamba sono frequenti, il servizio è efficiente e la notte vola via comodamente sdraiati sulla poltrona.

Arriviamo nella città andina di prima mattina, il tempo di una salteña per colazione e saliamo sul collectivo per Quillacollo. E’ il giorno di ferragosto e ogni anno si svolge la grande festa de “la Virgen de Urkupiña”: una delle più partecipate e coinvolgenti di tutta la Bolivia e, probabilmente, dell’intero Sudamerica.

Si tratta di una festa religiosa che ha però origine da antichi riti pagani, che si mescolano con lo sciamanesimo. In tutto il Sudamerica si possono apprezzare queste strane commistioni di riti ancestrali e religione importata dall’Europa. Lo abbiamo visto a Chichicastenango in Guatemala, a San Juan Chamula in Messico, a Cuzco in Perù e qui, a Quillacollo, sui 2750 metri delle Ande.

Nella cittadina, che dista 13 chilometri da Cochabamba e conta circa 150 mila abitanti, c’è un’altura che ospita il Santuario della Virgen, proprio nel luogo dove la Vergine apparve ad una piccola pastorella. I pellegrini entrano ad offrire candele e fiori, nell’oscurità rischiarata dal fuoco, tra il calore e l’odore delle cera. I colori sgargianti delle gonne che ondeggiano sotto alla Santità, per invocare qualche perdono o più semplicemente la sopravvivenza…

Ma poi, sul piazzale sterrato, le stesse persone aspettano pazienti il loro turno dallo sciamano.

Sono tutti in fila, seduti per terra sui sassi. Ognuno ha davanti un barattolo dentro al quale brucia di continuo l’incenso, un pezzo di plastica dov’è appoggiata l’attrezzatura per il rito.

Quando qualcuno si avvicina, si inginocchia davanti a questi uomini vecchi…vecchissimi, tra nuvole di incenso dall’odore acre e pungente. Inizia il rito: cantilene, preghiere, crocefissi alzati ed abbassati ripetutamente sulle teste, olii ed unguenti spalmati sulla fronte. Un’offerta e avanti con il prossimo in cerca di speranze…

Scendiamo di nuovo verso il centro della cittadina, stavolta a piedi. Ci mischiamo tra i primi gruppi di musicisti e danzatori in maschera. Infatti, dalla tarda mattinata, si tiene una lunga sfilata di oltre diecimila ballerini e musicisti che si susseguono danzando e saltando freneticamente per le vie della città. Una sorta di carnevale, dove le maschere mostruose rappresentano le ancestrali paure e le ballerine nei coloratissimi costumi si muovono al ritmo delle bande di fiati.

E di fiato, a Quillacollo, ne serve davvero tanto. L’altitudine andina pesa nei polmoni e per saltare, suonare, ballare ore e ore, serve un fisico molto allenato. Oppure le foglie di coca.

Tutti i ballerini infatti appallottolano le foglie in bocca, sistemandole in una delle due guance e mesticandole per farne uscire il succo dal leggero effetto anestetizzante e probabilmente allucinogeno. Di sicuro toglie la sensazione della fame e della fatica.

Ore e ore di sfilata, dicevamo. E’ un serpente continuo con la gente assiepata ovunque. Lungo i marciapiedi si sistemano le sedie di plastica. Tutte quelle a disposizione, nuove o sgangherate che siano, si affittano a 5 bolivianos. La si può occupare e poi cedere nuovamente, riaffittandola, prima di andarsene.

Anche noi ne prendiamo due. Ci accomodiamo ed assistiamo a qualche ora di delirio collettivo; poi sulle nostre sedie facciamo accomodare una donna con due bambini. Ovviamente, senza chiederle i 5 bolivianos…!

 

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