L’idea di un viaggio in Africa era nata per caso, quasi per scherzo.
Sentivo nominare la città di Canchungo, in Guinea Bissau, fin da quanto ho ricordi: la Parrocchia dove sono cresciuta aveva creato un gruppo di giovani volontari in una sorta di gemellaggio con quella città.
Ricordo che si faceva la raccolta di libri, quaderni, matite e vestiti. Le donne passavano molti pomeriggi a cucinare torte, confezionandole con grandi fiocchi e decorazioni coloratissimi, da vendere dopo la messa domenicale e raccogliere fondi per i volontari che, un paio di volte l’anno, partivano per la Guinea Bissau.

Ai giovani volontari, oggi non più giovani, va il merito di aver trasmesso alle nuove generazioni la sensibilità e la vicinanza alla comunità di Canchungo, così lontana, ma nel contempo così dentro i cuori di tutti
Una sera tra amici, tra un birra e l’altra ci siamo detti: dai, andiamo!

Era dicembre, dal freddo particolarmente pungente, ben coperti e piuttosto agitati imbarcammo valigie piene di sogni ed emozioni. Lo scalo a Lisbona e poi via verso la Guinea.
Il volo fu per noi molto silenzioso; ognuno perso nei propri pensieri con la paura di non sapere cosa avremmo trovato e cosa avremmo dovuto e potuto fare.
Un aereo che sembrava grandissimo e noi, unici passeggeri bianchi, di un pallore che ci fece quasi sentire a disagio.

L’aria secca ed irrespirabile accolse l’atterraggio. Il suono delle armoniche accompagnava le mani dei passeggeri che tenevano il ritmo. Erano tutti finalmente tornati a casa.

La terra rossa … le capanne di fango e paglia … caldo, tanto caldo, gli uomini in festa all’ombra degli alberi a bere vino di palma. Donne e bambini lungo strade, con grandi cesti sulla testa vendevano banane e mandioca. Una passeggiata divideva il nostro villaggio dalla risaia. Man mano che camminavamo, si univano a noi bambini vocianti sbucati dal nulla. Ci guardavano curiosi, ci toccavano la pelle, così stranamente pallida, ci toccavano i capelli, così stranamente lisci e così stranamente senza treccine. Arrivammo alla risaia in tanti…con tante piccole mani aggrappate a noi e tanti piccoli visi sorridenti che, sulla via del ritorno, sparirono nel nulla, così com’erano comparsi.

Più passavano i giorni, più ci rendevamo conto che nulla, da queste parti, si può dare per scontato.

Dall’Italia avevamo portato dei semi. Alcuni giovani, dopo aver studiato agricoltura a Cuba, rientrarono in patria per mettere a disposizione della comunità le loro conoscenze. Funzionava…con un bel sistema di irrigazione riuscirono a creare un fazzoletto di terra produttiva.
La verdura veniva offerta alle suore del paese che organizzavano lezioni di nutrizione alle giovani madri.
Insegnavano a nutrire e accudire i loro bambini; insegnavano il valore della comunità.

In un grande spazio si radunavano le donne del villaggio. Ognuno portava il suo piccolo contributo: una banana, un pesce, del riso. Si preparava il cibo per tutti, con quello che ognuno poteva offrire. In questo modo tutti potevano mangiare.

Insegnavano a cucire, con vecchie macchine le donne imparavano a fare i vestiti per loro e per i loro bambini.
Nulla è scontato, in Africa.

Gli spazi sembrano infiniti. Il sole al tramonto è più grande, più rosso, più rotondo. Poi lascia spazio alle stelle e alla luna. Da qui sembra un sorriso bianchissimo e vicinissimo, che illumina la terra quasi a giorno.
In Africa tutto è più lento e la vita è semplice, senza fretta. Nessuno corre in Africa, come se si avesse sempre il tempo di fare tutto pur non facendo niente. Il tempo sembra fluttuante…in Africa il tempo non scorre…

Testi e foto di Morena Bono

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