Ferhandija 43. Se dovessi indicare un punto che ben rappresenta l’essenza di Sarajevo, direi Ferhandija 43. Nell’urbanistica cittadina qui succede una cosa molto strana, quasi come se in quel preciso punto ci fosse un confine spazio-temporale naturale, uno spartiacque tra due Mondi, tra due culture che si sfiorano.
Immaginate un grande viale pedonale improvvisamente interrotto da una linea perpendicolare. Fino a quella linea si trovano gli eleganti palazzi in stile asburgico, con i negozi e i caffè di una qualunque strada di Vienna o Budapest. Poi c’è una linea. Pochi centimetri oltre quella linea iniziano le case basse, i bazar, i fumi pungenti delle spezie come in un mercato di Istanbul o Amman.
Questa invece è Sarajevo. Un po’ austriaca e un po’ turca, con lo sguardo all’Europa annebbiato dal fumo dei cevapcici che sfrigolano. Qui è del tutto normale vedere allo stesso tavolino del bar ragazze in minigonna accanto a ragazze in niqab. Perché Sarajevo è così: l’Europa qui ha già le forme sinuose ed ammalianti delle Via della Seta, che arrivava da Mostar e da qui passava verso la Turchia e poi la Persia…
E Sarajevo ama questa sua commistione, ne va fiera e la mostra con orgoglio, nonostante le sia costata cara nel corso della sua storia. Oggi la città è una delle più multiculturali d’Europa. Anzi: non oggi, ma sempre.
Non è un caso che in poche centinaia di metri si possano trovare la Cattedrale Cattolica e quella Ortodossa, la Sinagoga e la grande Moschea. Perché la Bosnia è uno Stato a maggioranza islamica, e in giro per il Paese si trovano splendide tracce dell’Islam: come la scuola coranica di Travnik o il Monastero dei Dervisci di Blagaj, a pochi chilometri da Mostar. Ma a Sarajevo c’è spazio per tutti.
Per visitare Sarajevo si inizia solitamente dal suo punto più famoso (e fotografato!): la Fontana Sebilj. Si tratta di una grande struttura il legno, decorata ed intarsiata in stile orientale. Risale al 1753 e pur non avendo grande rilevanza storica o artistica, è molto affascinante soprattutto la sera quando viene illuminata e fa bella mostra tra i Minareti e le locande della Bascarsija.
Qui siamo infatti nel cuore del mercato turco di Sarajevo. Dalla piazza verso la Miljacka (il fiume che attraversa la città) si intrecciano vicoli e piazzette, locande e antiche botteghe. Come quelle dei battitori di ferro che creano caffettiere e tazze decorate sotto i vostri occhi. Qui il caffè è quello turco, naturalmente, mentre la cucina è balcanica. Cevapcici, burek, raznjici…carne, soprattutto. Anche se le influenze orientali non mancano e si trovano soprattutto nei dolci appiccicosi di miele come i baklava. E, appunto, nel caffè.
Tempo e pazienza. Questo serve per bere un caffè bosniaco. E poi gesti lenti per non agitare i fondi. Come per capire Sarajevo, la Bosnia, i Balcani. Tempo, pazienza e movimenti lenti…
Anche in questa zona di Sarajevo bisogna prendersela comoda. Sedersi a qualche tavolino, chiacchierare e poi andare a curiosare tra i colori del mercato. Oggi è diventato un’attrazione turistica, ma non mancano angoli pittoreschi che vi faranno dimenticare di essere in Europa.
Qui si trovano due delle più importanti Moschee di Bosnia. La prima è la Bascarsija Mosque e risale all’inizio del 1500.
La seconda è la Gazi Husrev Beg Mosque ed è la più grande ed importante di tutta la Bosnia. Anch’essa risale ad inizio del 1500 ed è il cuore di una importante struttura composta da un mercato coperto, un hamman e due madrasse. Al centro, la grande vasca per le abluzioni e l’imponente struttura dell’edificio religioso con il Minareto.
Lasciate ora il quartiere islamico e proseguite verso le acque della Miljacka. Lungo il fiume ci sono due edifici fondamentali per la storia e la cultura di Sarajevo.
Il primo è il Ponte Latino, il più antico della città e, a dispetto del nome, di origine ottomana. Ma il ponte si ricorda solamente perché qui si consumò l’episodio che fece sprofondare l’Europa nella catastrofe della Prima Guerra Mondiale: l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando.
Proseguite lungo il fiume, fino ad incontrare un grande edificio color ocra in stile moresco. Si tratta della grande Biblioteca Nazionale di Bosnia. Una storia piuttosto travagliata ha caratterizzato questo edificio, fin dalla sua costruzione. L’impero Austro Ungarico aveva da poco conquistato la città di Sarajevo, nello sconforto dei cittadini. Forse per dimostrare il loro potere o forse per attenuare l’insoddisfazione della popolazione, decisero di dare alla Biblioteca uno stile orientale, che ricordasse le forme della cultura islamica.
L’idea non funzionò moltissimo visto che lo stesso architetto, a fine lavori, sembra sia morto suicida. Ma la strana sorte avversa dell’edificio colpì anche l’Arciduca Francesco Ferdinando. L’ultima cosa che fece in vita fu proprio visitare questa Biblioteca. Uscì e dieci minuti dopo venne ucciso sul Ponte Latino, a poche decine di metri di distanza.
Dopo la Grande Guerra però questa Biblioteca si ingrandì e acquisì importanza. Si arricchì di volumi, manoscritti e stampe antiche, dipinti e testimonianze del passato della Nazione. Fino agli anni Novanta conteneva oltre un milione e mezzo di pezzi storici.
Bene, se siete arrivati fino a qui avete letto circa mille parole. Mille parole senza alcun accenno alla guerra di inizio anni Novanta. Nessun accenno ai quattro anni di assedio sciagurato e disumano che Sarajevo fu costretta a subire. Perché per visitare Sarajevo bisogna andare oltre quelle immagini che tutti ricordiamo. Ma parlando della Biblioteca, purtroppo, ne dobbiamo fare cenno.
Già, perché la notte tra il 25 e il 26 agosto 1992 l’esercito serbo iniziò a lanciare bombe incendiarie sulla biblioteca. Obiettivo? Distruggere la cultura di un popolo. Scopo strategico durante una guerra? Nessuno. Risultato? Biblioteca completamente distrutta. Militari, volontari, semplici cittadini sfidarono i cecchini serbi per salvare il contenuto dell’edificio ma fu inutile. Si salvò solo poco meno di un decimo dei pezzi conservati; il resto andò distrutto per sempre.
Alla fine della guerra in Bosnia ci fu una corsa alle donazioni per garantire la ricostruzione dell’edificio. La Turchia, principalmente, contribuì in maniera significativa. Così come l’Unione Europea e la stessa Serbia. L’edificio oggi è stato completamente ricostruito identico all’originale. Stesso progetto, stesse forme e materiali utilizzati. Oggi è una Biblioteca universitaria alla quale sono arrivati in regalo decine di migliaia di volumi da tutto il Mondo. Ma difficilmente sarà come prima…
Prendiamo una boccata d’aria fresca? Saliamo in alto. A poca distanza dalla biblioteca, verso il Monte Trebevic, si trova la nuova funivia della città che in pochi minuti porta al punto panoramico sopra Sarajevo. Qui c’è la famosa pista di bob. Costruita In occasione delle Olimpiadi del 1984 venne poi abbandonata e diventò la parete perfetta per graffitari e artisti di strada. Oggi è un quadro all’aria aperta.
Anche qui purtroppo ci sono ricordi legati all’assedio. Questa pista era infatti una delle più terribili postazioni dei cecchini serbi, ma anche in questo caso è meglio vederlo come un luogo dove fare passeggiate tra gli alberi e godersi il panorama sulla città.
L’assedio, abbiamo detto, ha lasciato segni evidenti in tutta Sarajevo. Passeggiando per il centro troverete “le rose di Sarajevo”: una specie di decorazione rossa sul terreno. Ricorda un fiore, una rosa che sta perdendo i petali rossi. E’ resina con la quale, a futura memoria, sono stati riempiti i fori delle granate e dei mortai che colpivano i cittadini. La scelta di valorizzare questo ricordo drammatico con un fiore è una delle immagini di speranza che la città lascia ai visitatori.
Così come gli altri due luoghi legati alla guerra che potrete visitare a Sarajevo.
Il primo è il Tunnel della Speranza. Si trova a ridosso della pista dell’aeroporto cittadino e racconta di quali rischi si siano corsi, in nome della voglia di sopravvivere.
La pista dell’aeroporto era una sorta di confine: da un lato la città assediata, dall’altro il territorio libero. Intorno, le montagne con i cecchini, i mortai e le granate. Una piccola casa si trovava proprio accanto alla pista. Dagli scantinati della casa si decise di scavare un lungo tunnel che passava sotto la pista dell’aeroporto e sbucava dal lato opposto. Calcoli ingegneristici e settimane di lavoro a scavare. Con le pale, i picconi ma anche con cucchiai o a mani nude. Tutto in ragione della Speranza. Da quel tunnel passò la sopravvivenza di Sarajevo: cibo, acqua, medicinali, benzina…tutto quanto potesse servire a sopravvivere per quattro lunghi anni. La Speranza era lunga 700 metri e larga 80 centimetri.
Se passate per Sarajevo, visitatelo. Tutte le info a questo link.
Un altro luogo, l’ultimo che suggeriamo a Sarajevo, è un Museo. Ma non uno di quelli dove espongono oggetti artistici: un Museo di storie. Quelle dei bambini durante la guerra.
Storie legate ad un giocattolo, un quaderno, una lavagna o una chitarra. Storia di chi ha vissuto la propria infanzia nella Sarajevo assediata. Si chiama War Childhood Museum ed è un colpo al cuore.
L’immagine di un’altalena bianca che dondola in una stanza buia, non vi lascerà più.
Eppure, nonostante ne uscirete con le lacrime agli occhi, ne avrete una sensazione di positività, di leggerezza. Di nuovo, di Speranza. Stavolta è la Speranza nel futuro di quei bambini, del Mondo, dell’Umanità.
Uscite a tornate a sedervi alla Bascarsija. Ordinate della carne grigliata e una birra. Guardatevi intorno. Sarajevo è una bella città. Giovane e vitale, aperta ed accogliente. In quel preciso momento sarete felici di aver visitato Sarajevo. Sapete perché? Perché se avete più di quarant’anni, finora avevate associato questo luogo alle immagini drammatiche di inizio Anni Novanta. Invece scoprirete di essere proprio in un bel posto e capirete di aver apprezzato una città piacevolmente multietnica, disposta a raccontarsi e per nulla rancorosa. E che averla scelta come meta è stata proprio una bella idea!