Qui non si viene a fare i turisti.
Srebrenica è un piccolo e quasi insignificante paesino sperduto tra le montagne della Bosnia.
Troppo lontana da Mostar, da Sarajevo e dai luoghi turistici della Bosnia che rinasce.
Troppo lontana da Belgrado e da quella Serbia che faticosamente prova ad attirare turisti.
Chi viene a Srebrenica vuole proprio venire a Srebrenica.
Forse a riflettere. Forse a rendere un tardivo omaggio.
Perché quell’undici luglio millenovecentonovantacinque probabilmente eravamo al mare.
Tutta Europa quel giorno era al mare.
A Srebrenica, invece, non c’è il mare…
E’ difficile visitare il Memoriale del genocidio.
E’ difficile da capire. Ancora di più da spiegare ai bambini.
Perché i bambini non riescono proprio a capire perché gli uomini si uccidono.
A Srebrenica si è consumato il più grande crimine contro l’Umanità in Europa, dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo sentenziò il Tribunale Penale internazionale nella pronuncia contro Mladic e Karadzic. E Milosevic e tanti altri politici, militari, soldati di quei Balcani dagli anni feroci.
Il più grande eccidio, genocidio, omidicio di massa, pulizia etnica…chiamatelo come si pare. Tanto il concetto non cambia.
Le forze serbe entrarono nella cittadina bombardando con i carri armati, nonostante fosse “zona protetta” dall’ONU e vi fosse un contingente olandese a salvaguardia della popolazione.
All’arrivo dei serbi, l’unica salvezza sembrava essere la base olandese, di fronte alla quale si ammassarono decine di migliaia di persone, spingendo i cancelli e provando a strappare le reti di recinzione.
Tutti civili disarmati.
Poi i cancelli si aprirono e tutti si riversarono nel grande piazzale di fronte agli edifici della ex fabbrica di batterie che ospitava i militari.
Ma i serbi arrivarono anche alla base olandese di Potocari, a qualche chilometro da Srebrenica.
Anche loro entrarono nella base e mentre Mladic rassicurava li Mondo davanti alle telecamere, i suoi militari separavano le femmine dai maschi.
8372 maschi.
Il più vecchio, novantaquattro anni.
Il più giovane, tredici.
Tredici.
Caricati a forza su una lunga colonna di bus.
Spariti. Fucilati e sepolti in improvvisate fosse comuni.
Seimila non li hanno ancora trovati.
8372 lapidi bianche. Tutte uguali. Tutte in file ordinate.
A Potocari vengono madri, mogli, sorelle a pregare.
C’è una Moschea, oggi nel Memoriale. E un lungo elenco di nomi.
E lapidi bianche in fila.
Lapidi bianche in fila, fin dove arriva lo sguardo.
Non venite qui a porvi domande, perché non troverete risposte.
In nessuno dei luoghi in cui si è consumata la guerra in Bosnia, troverete risposte.
Ma, per inciso, nemmeno se le cercate in Serbia le troverete.
Poi, di fronte, c’è la fabbrica.
Un capannone vuoto, grigio e abbandonato. E freddo, anche se è agosto.
Dentro si trova quel che rimane di una mostra fotografica dal titolo eloquente: “Srebrenica UN-Safe Zone”.
Foto di persone, foto di guerra, foto agghiaccianti. I graffiti ironici degli olandesi contro la popolazione bosniaca.
Si, si: contro la popolazione che dovevano difendere.
L’Olanda è stata dichiarata responsabile dell’eccidio di Srebrenica.
Poi, solo parzialmente.
Per il 30%, ad essere precisi.
Poi nel 2019 la sentenza definitiva che sancisce le “limitate responsabilità” del Governo olandese.
Solo per il 10%
E solo per 350 persone uccise.
Grazie di tutto e a posto così, in pratica.
Giochi di cavilli e dichiarazioni ad uso e consumo dei libri di storia, che per nulla cambiano la sostanza.
UN-SAFE ZONE
Gli altri ottomila sono morti per colpa di nessuno.
O forse perché a Srebrenica non c’è il mare.
Se volete approfondire il tema dell’eccidio di Srebrenica, vi consigliamo il libro “Surviving Srebrenica”, scritto da Hasan Hasanovic.
Hasan è uno dei pochi sopravvissuti a quella operazione di pulizia etnica. All’epoca aveva diciannove anni e si salvò scappando con altri diecimila uomini attraverso le foreste. Di questi, solo tremila sopravvissero raggiungendo il territorio libero di Tuzla dopo 5 giorni e 6 notti di marcia ininterrotta.
Oggi Hasan è il curatore del Memoriale dell’eccidio di Srebrenica.
2 Comments
Io quella guerra maledetta me la ricordo e forse quel giorno ero al mare e non avevo idea dell’orrore ma quella guerra me la ricordo con paura, terrore, stupore perché si stava consumando a due passi dalla mia comoda normalità, perché sembrava che niente potesse fermarla. E ricordo anche i segni dei proiettili anni dopo a Dubrovnik e la tristezza negli occhi di chi me indicava…grazie per averne parlato.
È proprio questo che ci sconcerta ad ogni visita in Bosnia: il fatto che si sia consumata una tragedia così brutale a due passi da casa.
Forse anche per questo andrebbe conosciuta meglio…
Grazie a te Benedetta!