“Andiamo a Parigi?”
“Siete impazziti? Non ci andate! Che ci andate a fare?”
“A vedere un concerto allo Stade de France!”
“Ma è proprio quello dove hanno fatto l’attentato! Allora andate proprio a cercarvele.”

Queste, più o meno, le reazioni alle notizia che saremmo andati tre giorni a Parigi.
Per di più a vedere un concerto. E per di più lasciando a casa i bambini che, senza alcun dubbio, sarebbero rimasti orfani di entrambi i genitori.
Bene, partire con l’opinione comune che stai facendo una gran cazzata e che probabilmente morirai, non è la condizione più rilassante!

E quando tutti ti dicono che stai per morire, hai due possibilità: rinunciare a partire; riderci su.
Abbiamo scelto la seconda, in un misto tra fatalismo, autoironia e scaramanzia. Stavamo per fare l’ultimo viaggio della vita, quindi abbiamo salutato tutti a casa e al lavoro, indicato agli eredi legittimi dove fossero le polizze vita, annullato tutti gli appuntamenti di lavoro successivi al nostro (mancato) rientro da Parigi.

Si, ci abbiamo scherzato per sdrammatizzare, ma in realtà non so se c’è proprio da ridere. E il dubbio ci è rimasto…

“Che bello, ripartite! E dove andate?”
“A Parigi!”
“Ah….”

Non siamo partiti rilassatissimi. Il pensiero inconscio un po’ ti turba e senza reciprocamente dircelo abbiamo pensato “e se avessero ragione?”.

Poi arriviamo a Parigi e fai quello che è istintivo ed inevitabile: ti guardi intorno. Continui a guardarti intorno. Continui finché ad un certo punto rinsavisci: quelli che qui ci vivono, che fanno?

Vivono.

Bene, allora viviamo anche noi.
Poi succede che ci infiliamo nella metro. Tre piani sottoterra, vagone affollato, tunnel stretto e buio.

Entra un ragazzo altissimo, barba sotto al mento tipica islamica. Porta delle grandi cuffie nere e un berretto che lascia a malapena intravedere gli occhi. Indossa una tunica nera molto larga e pesante che arriva alle ginocchia, maniche lunghe fino ai polsi. Ci sono settemila gradi, perché – cavolo – tu indossi una tunica pesante a maniche lunghe? Cos’hai in quello zainetto? Poi appoggia la testa alla barra metallica in centro al vagone e chiude gli occhi. Ok, ho ufficialmente voglia di scendere dalla metro e scappare di corsa.

Sapete cos’è successo? Nulla.
Però, santo cielo, aiutiamoci a vicenda, dai!

Io non devo avere l’ossessione di immaginare intorno a me gente che si fa esplodere, ma anche tu – cavolo – magari mettiti una t-shirt a maniche corte, che mi fai meno impressione.
Ok, è giusto che ognuno si vesta come vuole. Ok, mettiamo via le fantasie macabre e godiamoci Parigi.
Arriviamo alla Torre Eiffel: recintata completamente. Si entra solo se hai la prenotazione per salire e solo dopo aver passato i controlli e il metal detector. Tristezza. Inevitabile sia così, vista l’aria che tira, ma è proprio una tristezza.

Davanti a Notre Dame, camionette dei militari e barriere antisfondamento.
Nel cortile del Louvre e ai Giardini della Tuileries, camionette della polizia. Tutti, compreso i vigili urbani, indossano giubbotti antiproiettile. Ci sono sempre settemila gradi all’ombra, quindi non li invidio. Loro sono un potenziale bersaglio e lo sanno.

Senti, sai che c’è: godiamoci la città che è sempre più bella. Ci siamo stati l’ultima volta diversi anni fa e la troviamo molto molto migliorata: ci sono attività per tutti i gusti, c’è la spiaggia lungo la Senna, ci sono decine di persone sdraiate sull’erba dei parchi. Bello, splendido. Ci sdraiamo anche noi al sole. Pensa che i parigini sono pure diventati simpatici (a dispetto della loro storica fama!). Vabbè, quasi tutti…

E poi arriva il giorno del concerto. Marea umana verso lo Stade de France.
Chris Martin dei Coldplay ha detto che partecipare ad un concerto a Parigi è un “act of bravery”. Ecco, confortante, detto da chi sta cantando! Poi ha ringraziato tutti per esserci nonostante “il prezzo del biglietto e tutti i controlli di sicurezza”. Ah, il prezzo del biglietto è niente rispetto all’ansia da sicurezza!

Sapete che è successo? Niente. Anzi, no: è successo che il concerto è stato uno spettacolo esagerato! Meraviglioso.

Oddio, i controlli c’erano, ed erano tanti. Tantissimi erano i poliziotti impegnati a garantire che tutto filasse liscio. L’impegno dei francesi è davvero immenso e le condizioni alle quali sei costretto ad adeguarti in casi di grande assembramento umano erano inimmaginabili, fino a poco tempo fa: barriere antisfondamento, corridoi obbligatori, metal detector, poliziotti con il mitra sul tetto dello stadio. Non c’è problema: ci si abitua e si vive lo stesso.

Sapete che c’è?

Che Parigi è stupenda e bisogna andarci, vederla, tornarci ed apprezzarla ancora di più. C’è che l’ente del turismo ci dice che dopo un crollo delle presenze turistiche, la città torna ad avere un piccolo incremento.

C’è che i nostri tre giorni sono volati via serenamente (si, vabbè, qualche menata mentale ce la siamo fatta ma poi ci è passata appena sbucati dalla metro davanti a Notre Dame) e che abbiamo trovato una città sempre più dinamica con tanta voglia di vivere.
C’è che il mondo è tanto bello e che i nostri bambini ne devono vedere più possibile.

E c’è che mia nonna le bombe le ha viste davvero. Ma non una ogni tanto: una pioggia di bombe sulla testa. Ma ha sempre creduto che la sua voglia di libertà, la sua voglia di vivere fosse più forte di tutte le bombe che l’uomo poteva far esplodere. E ha vinto lei.
E poi c’è un dettaglio che forse sfugge a “quelli là”. Che noi abbiamo voglia di ridere.

E che Parigi è sempre stupenda.

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