Trascorro l’inverno e la primavera sognando acque cristalline e sabbia finissima, ma poi all’improvviso, come spesso mi succede, mando tutto all’aria, voglia di mare compresa, e decido di tornare a “casa”. Si, perché quando torni in un posto per la quarta volta significa che per certi aspetti lì hai trovato la tua “casa”. Per me Irlanda vuol dire semplicemente ”casa”.

Dopo aver prenotato i voli, studio l’itinerario optando per tappe relativamente brevi, non volendo trascorrere ogni giorno troppe ore in auto. Mi concentro sul sud e sull’ovest dell’isola, organizzando un tour di 10 giorni tutti rigorosamente on the road. La partenza è dalla capitale e l’arrivo … è nella capitale, tracciando così un immaginario anello lungo circa 2.000 km.

Arriviamo a Dublino nel tardo pomeriggio del 21 luglio e raggiungiamo il primo B&B situato in una tranquilla zona residenziale a nord della city. L’accoglienza di Alan è tipicamente irish: due ( o tre .. a forse anche quattro.. ??) chiacchiere in salotto dandoci informazioni su come raggiungere il centro città, quale autobus prendere, dove andare a mangiare, cosa vedere ecc. ecc.
Tutto abbastanza familiare per me ma non oso interrompere il mio interlocutore nel timore si possa offendere.

Sistemiamo le valigie e prendiamo il primo autobus a disposizione per arrivare in centro; l’idea di un primo giro di ricognizione senza troppa fretta non ci dispiace.
Dopo la cena e una passeggiata per Temple Bar, ascoltando i buskers che come ogni sera colorano e vivacizzano il tempio della modiva irlandese , decidiamo di tornare al B&B per il meritato riposo.

Dal mattino seguente la vera avventura ci aspetta e l’adrenalina comincia a farsi sentire. Primo passo da affrontare: prendere dimestichezza con la guida a sinistra. Svolte tutte le formalità del caso al bancone della Budget e ritirata l’auto, faccio un bel respiro profondo … e con quel pizzico di pazzia che in certe occasioni è obbligatorio, mi immetto in autostrada.

L’impatto è abbastanza terrificante, non lo nascondo, ma la pazienza e l’ironia degli irlandesi mi aiutano parecchio. Pensate che ho rischiato il frontale “solo” un paio di volte lungo tutta la vacanza ma qui guidano tutti talmente piano che si ha il tempo di reagire e tornare nella corsia giusta praticamente indenni.

Dopo circa 200 km, raggiungiamo la nostra prima tappa: la Rocca di Cashel, conosciuta anche come la Rocca di San Patrizio o Cashel dei Re, uno dei siti archeologici più visitati d’Irlanda. La fortezza (cashel deriva dal termine irlandese caiseal che significa per l’appunto fortezza) offre uno dei belvedere più scenografici dell’Isola e si erge maestosa nel cuore della Golden Vale.

Le prime documentazioni sulla Rock di Cashel, risalgono al IV secolo d.c., quando la zona viene scelta come base dai membri del clan Eoghanachta, provenienti dal Galles, per poter conquistare gran parte del Munster. Il clan viene cristianizzato nel V secolo con l’arrivo di San Patrizio, il quale riesce a convertire il leader Aengus. Una leggenda narra che il Santo utilizza il trifoglio per spiegare al Re il mistero della Santissima Trinità. Da allora, il trifoglio, è uno dei simboli indiscussi del Paese.

Nel 1101 il Re O’Brien dona la rocca alla Chiesa per ingraziarsi i potenti vescovi e porre fine ad una lunga rivalità, ma nel 1647 la rocca cade in mano all’esercito inglese di Oliver Cromwell che la devasta.

Oggi, dopo quel terribile saccheggio, sono visibili:
– la Hall of the Vicars Choral: la sala dei cantori che ospita la croce di S. Patrizio
– la King Cormac’s Chapel: la più ricca cappella romanica dell’isola, con i suoi affreschi medievali
– la splendida cattedrale gotica rimasta completamente senza tetto
– la torre circolare, alta più di 30 metri ma non visitabile

ll paesaggio che si può godere dalla rocca è notevole. Le rovine, relativamente ben conservate, sono circondate da un esteso prato collinare ricco di croci celtiche molto suggestive. Noi non ci facciamo scappare l’occasione per stenderci su questi prati verdi, ammirare la rocca da ogni angolazione e rilassare gli occhi guardando verso l’orizzonte dipinto da mille sfumature di verde.

Nelle zone limitrofe meritano una visita la Hore Abbey, abbazia cistercense diroccata in mezzo al nulla, sufficientemente cupa e piena di corvi, e Cahir , tranquilla ed amena cittadina di campagna dove noi ci fermiamo per una ricca cena a base di carne e Guinness e una passeggiata nel parco del castello.

Per la seconda notte soggiorniamo in una carinissimo B&B, il “ Tir na nog”, immerso nel silenzio più totale, in mezzo ai covoni di foraggio e alle pecore. Il nome gaelico “tir na nog”, come ci spiega il proprietario, significa “il paese dove non si diventa mai vecchi” e mi pare si addica perfettamente allo stravagante sense of humor di Tommy.

Dopo una colazione pantagruelica composta da uova strapazzate, pancetta, salsicce, pomodori e funghi (oltre ai classici caffè, tè, yogurt e cereali), saliamo in auto pronte per una nuova giornata.

Scendiamo verso il sud dell’isola e le mete del giorno sono il Blarney Castle e la cittadina costiera di Kinsale.Il castello è situato nell’omonimo centro abitato, situato nella contea di Cork e deve la sua fama alla celebre Blarney Stone, o pietra dell’eloquenza, incastrata in un muro del cammino di ronda. Secondo la leggenda, chi la bacia, o almeno la tocca, riceve immediatamente il dono della dialettica. Tale credenza deriva dall’astuzia di uno dei proprietari del castello, Cormac Teige MacCarthy, il quale avrebbe tenuto testa così bene alla regina Elisabetta I, che reclamava il maniero, raggirandola più volte.

Capiti gli inganni, la monarca disse: ” Non sono altro che lusinghe. E’ tipico di Blarney: non pensa mai ciò che dice, non fa mai ciò che promette”. Il termine blarney, che significa appunto “lusingare”, entra così a far parte della lingua inglese.

Baciare la magica Blarney Stone, comunque, significa salire 1200 gradini, sdraiarsi sulla schiena e rimanere sospesi nel vuoto…un “giochino” molto turistico che, in tutta onestà, decidiamo di non fare!

Meritano assolutamente una visita i giardini che circondano il castello (tenete conto che per visitare tutto occorre una mezza giornata). I tre sentieri, tutti ben curati e ricchi di fiori e piante, conducono a diverse attrazioni interessanti, prime fra tutte delle formazioni rocciose naturali dai nomi alquanto bizzarri: il “circolo dei Druidi”, la “caverna della Strega” e i “gradini dei Desideri”, solo per citarne alcune. Passeggiando tra i prati si ha modo anche di scorgere in lontananza un’altra dimora nobiliare ben più recente, la Blarney House, da poco aperta al pubblico ma solo un paio di ore al giorno.

Nel tardo pomeriggio, ci dirigiamo verso la cittadina costiera di Kinsale ( siamo sempre nella contea di Cork). Il cui cuore pulsante è naturalmente il porto, dove spicca il monumento dedicato al Lusitania, il transatlantico colpito da un sottomarino tedesco nel 1915.

Kinsale è conosciuta a livello internazionale come la capitale gastronomica d’Irlanda. Il piccolo centr o, infatti, è ricco di ristoranti tutti di altissimo livello, dove cenare, per chi non bada a spese, è sicuramente un’ esperienza indimenticabile. Noi ci “accontentiamo” di un ottimo e croccante fish and cips, mangiato nella famosa piazzetta del centro dove ogni casetta o negozio, è di un colore diverso, dall’arancio all’azzurro, dal viola al verde.

La serata prosegue a Clonakilty, altra deliziosa cittadina costiera, famosa per avere dato i natali a Michael Collins, il comandante delle truppe dell’Irish Free State, che nel 1922 ottenne per l’Irlanda l’indipendenza dalla Gran Bretagna.

Grazie a Miriam, la proprietaria del nuovo B&B che ci ospita, abbiamo la fortuna di assistere ad una indimenticabile sessione di musica live all’interno di un piccolissimo pub, il An Teach Beag. Ci accolgono dei simpatici “giovanotti” , che, seduti attorno a dei tavolini carichi di birra e strumenti musicali, ci fanno accomodare accanto a loro non appena varchiamo la soglia del pub.

Le emozioni che proviamo, ascoltando e vedendo quello che sta succedendo attorno a noi, sono indescrivibili: il pathos che aleggiava nell’aria e che aumenta ad ogni canzone o poesia è qualcosa di veramente magico. Non vi nascondo che le lacrime scendono durante la rievocazione delle avventure di un giovane innamorato che parte per l’America in cerca di fortuna, imbarcandosi sul Titanic ( proprio a Cork il transatlantico raccolse gli ultimi viaggiatori la sera dell’11 aprile 1912). La fidanzata avrebbe atteso a lungo il suo ritorno, ogni giorno e ogni notte, non trovando pace per quello che era successo nei ghiacci dell’Antartide.

Il mattino seguente, lasciamo Miriam e il suo B&B, per iniziare il tour delle “ cinque dita”, cioè le cinque penisole irlandesi affacciate sull’Oceano Atlantico. Guardando la cartina stradale, le penisole sembrano proprio formare una mano che allarga le sue dita nelle fredde acque dell’oceano: partendo da sud, la Mizen Head, il Ring of Beara, il Ring of Kerry, la penisola di Dingle ed infine il Connemara. Per la verità noi ci “limitiamo” a visitare solo le prime 4 delle 5 “dita” sopra citate e i panorami che si apriranno davanti ai nostri occhi saranno uno più bello dell’altro.

Dopo una breve sosta alla spiaggia di Barleycove, considerata la più bella di tutto il Cork occidentale, partiamo in direzione di Mizen Head dove vogliamo visitare la Signal Station. All’entrata ci accoglie una bella riproduzione del faro di Fastnet Rock con numerosi pannelli esplicativi sul faro stesso, la geologia e la fauna della penisola.

Dal centro visitatori si impiegano circa 20 minuti a piedi per raggiungere la stazione, percorrendo un sentiero che termina con uno spettacolare ponte ad arco, sospeso su un grande abisso nella scogliera. La vista che si apre davanti ai nostri occhi ci lascia senza fiato.

La stazione si trova subito oltre il ponte e ospita gli alloggi dei guardiani, la sala macchine e la sala radio. Ci si può perfettamente fare un’ idea di come vivevano i guardiani e di come funzionava la stazione fino a quando venne automatizzata nel 1993.

Risalite in auto, partiamo alla volta di Bantry, dove meritano una visita l’omonima dimora e i relativi giardini che si affacciano su una delle baie più affascinanti d’Irlanda.

La Bantry House risale al XVIII secolo e appartiene alla famiglia White dal 1729 e tutti i suoi ambienti sono ricchi dei tesori accumulati dalle varie generazioni nel corso di numerosi viaggi europei ma non solo. Arazzi francesi, cassettiere giapponesi e icone russe convivono perfettamente nella sala da pranzo e nelle stanze da letto che si trovano al primo piano, ma il vero vanto della casa sono i giardini. I prati di fronte alla residenza scendono dolcemente verso il mare e lo spettacolo su questo tratto di baia è assolutamente straordinario…

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