Berlino è un originale mix di fermento artistico e di storia, di imponenza e di trasgressione.
O, almeno, così sembra.
A Berlino si ritrovano dei tratti caratteristici di tutte le grandi città dell’Est Europa.
Di quella “cortina di ferro” che ha costretto alla repressione, al silenzio e agli sguardi bassi la popolazione.
“We are the people” gridavano a est in quel 1989.
Ce lo ricordiamo tutti. O, almeno, chi ha più di 40 anni.
“We are the people” gridavano davanti alla porta di Brandeburgo, mentre a pochi metri di distanza, oltre il muro, si era lontani anni luce.
E proprio lì Ronald Reagan, in un accorato discorso, pregava Gorbaciov di far cadere quel muro.
“El pueblo unido jamas serà vencido” direbbe Elia, “in arte” Freddy, la guida che ci accompagna nelle oltre 5 ore di Free Walking Tour. Lui è colombiano ma vive a Berlino da anni e la storia d’Europa sembra conoscerla proprio bene.
Vive qui da anni come tanti, tantissimi giovani di tutto il Mondo. Perchè qui sembra proprio esserci fermento, iniziativa, futuro.
Berlino si muove.
Si è sempre mossa e continua a muoversi. Perché alla fine, quando c’è repressione la gente reagisce. Prima clandestinamente, poi alla luce del sole. E poi non si ferma più.
In poche fermate di metro si passa dall’imponenza del Reichstag ai graffiti della East Side Gallery, ai locali underground che sparano musica tecno tutte le notti, fino all’alba.
Non ci sono insegne, non ci sono cartelli: solo musica che esce ovattata dal sottosuolo.
E forse la Berlino di oggi nasce proprio da quelle cantine, mai del tutto abbandonate.
Berlino non è tra le città esteticamente più belle d’Europa, ma sicuramente è una delle più coinvolgenti, sia emotivamente, sia per la quantità di “cose da fare”. A Berlino si può stare una settimana tra Chiese e Palazzi storici, locali e Musei tra i più ricchi ed interessanti d’Europa. Federco II destinò l’intera isola sulla Sprea a spazio museale.
“L’isola dei Musei”, com’è conosciuta oggi, ne ospita 5 di straordinaria importanza: l’Altes Museum, Il Neue Museum con la sua collezione egizia e soprattutto il Pergamon. Qui si trova l’arte assiro babilonese e si possono ammirare le mitiche porte di Babilonia e Mileto.
Poi, nel resto della città, il Museo Ebraico, il Museo della Scienza, quello del Check Point Charlie e l’interessantissimo Museo della DDR.
In quest’ultimo si tocca con mano la vita, la quotidianità nel periodo del muro.
Tra oggetti da toccare, filmati, musiche e installazioni multimediali ci si perde in mille curiosità del periodo comunista. Come ad esempio l’atlante stradale d’Europa messo a disposizione dei pochi fortunati che potevano permettersi un viaggio. L’atlante d’Europa comprendeva la Polonia, la Cecoslovacchia, la Romania e la Bulgaria.
L’Università, il Dom, il Teatro dell’Opera, il Memoriale delle Vittime di guerra sono alcune delle bellezze architettoniche su Unter den Linden, il lungo viale che conduce alla Porta di Brandeburgo e che fino al 1989 sbatteva contro il muro.
Nel 1823 Heinrich Heine, poeta ebreo, scrisse “dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini”. In Bebelplatz, proprio di fronte all’Università di Giurisprudenza, si trova “la biblioteca vuota”. Nel 1933 il Ministro della propaganda nazista Goebbel fece bruciare tutti i libri di qualsiasi autore che esprimesse idee contrarie o semplicemente non in linea con il regime nazista.
Il resto della storia lo conosciamo. Qui un artista ebreo ha realizzato un memoriale sotterraneo, semplice quanto efficace: una lastra di vetro appannato che si affaccia su una serie di scaffali vuoti.
Da vedere, per riflettere.
Ne è passata tanta di storia per Berlino. Tutta storia di ferite e cicatrici.
Unter den Linden, dicevamo, sbatteva contro il muro. Quattro metri invalicabili, lunghi oltre 150 chilometri. 136 morti nel tentativo di trovare la libertà o, semplicemente, di riabbracciare familiari e parenti.
Oggi ne rimane poco più di un chilometro nella East Side Gallery; quel chilometro riempito di graffiti ironici, dissacranti, a volte intensi. Due i più celebri: la Trabant (simbolo di quegli anni poveri e poco felici) che rompe il muro; il “bacio fraterno socialista” tra Honeker (presidente della DDR) e Breznev (segretario generale del partito comunista sovietico).
Sempre restando in tema muro, anche il Check Point Charlie racconta bene…anzi: lascia ben immaginare il clima di quegli anni.
Lungo Friedrichstrasse si trovava la postazione di guardia americana, proprio alla fine della zona cuscinetto. “La striscia della morte”, la chiamavano. 70 metri di zona di nessuno dove chiunque sarebbe entrato avrebbe ricevuto qualche pallottola russa in omaggio.
Oggi al Check Point Charlie si trovano due gigantografie di due soldati: il russo che guarda ad ovest e l’americano che guarda ad est. Sono gli ultimi due soldati di guardia quel 9.11.89 che ha cambiato storia e volto all’Europa. Al Check Point Charlie si trova un Museo, per la verità un po’ caotico e non molto ben allestito, ma ricco di foto, documenti e testimonianze del periodo.
A Berlino oggi si saltella tra est e ovest senza più rendersi conto di dove ci si trovi. Il muro oggi è una lunga striscia di cubetti di porfido sull’asfalto, a segnare un vecchio confine tra i più odiati della storia; scopriamo così che la Porta di Brandeburgo era a est.
Ne è passata tanta di storia a Berlino. Tutta storia dura e feroce. A pochi passi dalla Porta di Brandeburgo si trova il Memoriale dello sterminio degli Ebrei nel periodo nazista. Per realizzarlo hanno sfruttato una parte della “striscia della morte”
2711 steli grigie e spoglie, di varie dimensioni. 2711 come le pagine della Torah, il libro sacro degli Ebrei. Questi blocchi di cemento sono sistemati perfettamente allineati, a formare una sorta di labirinto, mentre il pavimento ondeggia abbassandosi e rialzandosi in modo irregolare, come le onde del mare.
Un Memoriale toccante, nella sua semplicità.
Ne è passata tanta di storia per Berlino. Storia brutta, da non ripetere. Ma storia che ha dato a Berlino una spinta vitale e creativa e che l’ha fatta diventare una delle più vivaci, attive e dinamiche città d’Europa.
E che ancora non si è fermata.