Villa Torlonia è uno dei grandi errori che stavamo per commettere in Italia.
Famosa per essere stata (anche) la residenza di Benito Mussolini durante la guerra, era da anni in condizioni critiche dovute ad uno stato di abbandono. Un po’ come tutto ciò che riguarda i periodi storici oscuri; quelli che la coscienza collettiva preferisce dimenticare.

Ma Villa Torlonia ha in realtà una storia più antica di Mussolini e limitarla al ventennio sarebbe decisamente riduttivo. La Villa è infatti una costruzione ottocentesca sorta su un casino di campagna.
Giovanni Torlonia, francese non di nobili origini, ne fece la sua tenuta. Il titolo nobiliare gli venne regalato quando riuscì in un’importante opera di prosciugamento, a scopo agricolo, di un lago in Abruzzo.

Da quel momento la Villa venne ampliata e modificata, secondo il gusto dell’epoca per il classicismo: colonne e frontone decorarono la costruzione principale, mentre finte rovine e finti templi riempirono il grande parco.

Poi la villa venne, nel 1929 proposta a Mussolini come sua residenza principale. Alcune fonti narrano che a Mussolini venne chiesta la simbolica cifra di 1 lira al mese, ma non vi è certezza sulla veridicità. Sembra che lo scopo fosse evitare che venisse usucapita e passasse di proprietà.

Mussolini utilizzò Villa Torlonia anche per ospitare importanti eventi di propaganda o per ricevere ospiti illustri. Nel 1931 ospitò Gandhi allo scopo di ottenere un appoggio politico antibritannico, in cambio della collaborazione nella lotta per l’indipendenza dell’India.

Qualche anno più tardi vi furono ospiti Guglielmo Marconi e i fratelli Lumiere. La villa ospitava una sala di proiezione cinematografica e uno dei 3 televisori sperimentali presenti in Italia.
Nel 1935 Mussolini, grande appassionato di cartoni animati, ricevette Walt Disney. Quando nel 1938 una legge vietò l’importazione e la diffusione di materiale editoriale straniero, l’unica eccezione venne fatta per le pubblicazioni Disney.

Quando l’Italia entrò in guerra nel 1940, si rese necessaria la costruzione di un rifugio sotterraneo. Il primo che si costruì è il cosiddetto Rifugio delle Cantine, proprio perché prese il posto delle cantine. L’ambiente, piuttosto lontano dalla casa, è umido e freddo. Poteva ospitare fino a 15 persone, da 3 a 5 ore al massimo. L’ingresso è stretto e il lungo corridoio scende in profondità a zig zag, secondo le tecniche antisoffio. Infatti, in caso di esplosioni a distanza ravvicinata, lo spostamento d’aria avrebbe creato meno danni in un simile cunicolo. Arrivati in fondo si trova la prima porta blindata e subito dopo una seconda, antigas.

Appena entrati si trova un piccolo bagno e poi una serie di stanzette, tra le quali una nicchia nel muro attrezzata con scrivania, orologio e lampada. Accanto, un telefono a muro con una linea diretta a disposizione di Mussolini.

Questo rifugio venne definitivamente dismesso nel 1940 per la sua scarsissima efficacia in caso di bisogno, e venne costruito il rifugio delle cucine. Ricavato negli ex locali cucina della villa, era più grande e con un impianto di areazione che poteva garantire la permanenza per qualche giorno ad una trentina di persone.

Nelle operazioni di restauro, dietro ad una parete, venne scoperta una straordinaria necropoli del terzo secolo, con gli scheletri di un uomo, una donna e un bambino.

Nel 1942 vi furono pesanti bombardamenti su Torino, Genova e Milano e quindi si decise di costruire un più efficace bunker sotterraneo. Direttamente accessibile dalla villa, è una costruzione di forma cilindrica,collocata sei metri sotto terra ed inserita in una scatola di cemento armato spessa quattro metri.  Costruita in pochi mesi dai vigili del fuoco di Roma, era estremamente all’avanguardia al punto che, secondo alcuni studi contemporanei, potrebbe essere efficace anche oggi, con qualche piccolo accorgimento. Il preventivo iniziale di 240 mila lire, durante i lavori raddoppiò, e la cosa fece infuriare Mussolini: il suo presentimento era di non riuscire ad utilizzare il bunker. Infatti, non venne mai completato e fu abbandonato dopo che, nel 1943, Mussolini venne arrestato. La popolazione lo utilizzò, sebbene incompleto, durante i terribili bombardamenti del 1944.

All’interno del bunker e dei rifugi sono conservati cimeli d’epoca: una divisa, delle maschere antigas, una splendida radio d’epoca e le riproduzioni di foto aree di Roma durante i bombardamenti e degli effetti delle bombe in città. Colpiscono le riproduzioni dei “manifestini”: avvertimenti che gli aerei alleati lasciavano sulla città per avvertire la popolazione ed incitarli alla rivolta contro il regime.

A Roma, durante la guerra, funzionavano 51 sirene antiaree, metà delle quali resistono ancora sui tetti dei palazzi romani. Le sirene vennero utilizzate fino al 1975 e suonavano in concomitanza con il cannone del Gianicolo. Poi furono abbandonate perché non si trovavano più i pezzi di ricambio. Sembra sia in corso un’operazione di recupero: in fin dei conti si tratta di interessanti esempi di archeologia industriale.

Roma è l’unica città al mondo che ancora conserva i rifugi e i bunker antiaerei. Ce ne sono ancora 5 sparsi in giro per la città e oggi, solo quello di Villa Torlonia è visitabile.
Un Paese non deve perdere la propria storia; anche quella che non piace, che si preferirebbe rinnegare, quella fatta di errori e drammi.

A Dachau, che abbiamo visitato qualche anno fa, un monito chiede di ricordare i propri errori, per evitare di commetterli di nuovo. Anche in Italia dobbiamo imparare ad accettare tutta la nostra storia, valorizzandone ciò che è utile conoscere, anche come monito per le nuove generazioni.

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