La città di Tijuana è il sesto agglomerato urbano del Messico e spinge con forza sulla linea di confine con gli Stati Uniti.
E’ l’ultima, più pericolosa e più controllata frontiera per i sudamericani che provano ad entrare negli Stati Uniti, alla ricerca di miglior sorte.
Quando attraversammo il confine con il Messico, alla ricerca di cosa vedere a Tijuana, era il 1995 e la meta di quel viaggio era in realtà il sud della California statunitense. Arrivati però a San Diego, avvertii l’irresistibile richiamo del caos dell’America Latina. Quel richiamo che non mi ha mai più abbandonato.
San Diego è una splendida ed ordinata città americana, dove però la lingua parlata, i cartelli stradali e il cibo proposto nei ristoranti, preannunciano inequivocabilmente che il Messico è già lì.
“Aquì empieza la Patria” si dice a Tijuana, ma probabilmente gli States sono rassegnati a vedersi fagocitare il proprio estremo sud. L’America Latina spinge, e i confini politici sono sempre più delle linee immaginarie ed inutili. Almeno in questa parte di mondo.
Da San Diego si entra in Messico a piedi. Il capolinea del Trolley, il tram cittadino, si trova proprio davanti al confine dove sventola orgoglioso il tricolore con l’aquila.
San Diego e Tijuana formano un’unica area metropolitana.
Entriamo in Messico passeggiando, nemmeno accorgendoci di superare un confine. Nessun controllo, nessun militare di frontiera.
Scopriamo poi che la prima fascia cittadina di Tijuana, i primi chilometri di quel Messico, sono ad accesso libero. Chi volesse poi proseguire ancora più a sud, dovrà farsi timbrare il passaporto.
Ci accorgiamo che calpestiamo il suolo messicano dai colori che ci circondano; dalla musica che esce dai ristorantini lungo la strada; dalle case e le strade più malridotte rispetto a qualche chilometro prima. Ma soprattutto dal fatto che lungo la via di accesso alla città vi siano bar brulicanti di giovani ragazzi americani che trangugiano voraci, bottiglie e bottiglie di birra Corona.
Ne prendiamo una anche noi, forse per integrarci meglio nel contesto, forse perché negli Stati Uniti ci è vietato (servono ameno 21 anni, per comprare alcolici) e proseguiamo la passeggiata.
Senza dubbio Tijuana è sempre stata la valvola di sfogo per tutti i giovani americani. Si avverte subito. La libertà di movimento, la possibilità di trasgredire, fanno della città una sorta di zona franca. Come la periferia sud di San Diego si può già considerare Messico, l’intera città di Tijuana si può già considerare Stati Uniti. Una strana commistione che le autorità di entrambi i Paesi non accettano e alla quale tentano di opporsi con chilometri di cemento e filo spinato…
Ci ferma un ragazzo messicano. E’ il gestore di un bar e ci avvisa che non è possibile camminare bevendo la birra. Ci dice che l’alcol non si può consumare per strada, ma solo nei locali autorizzati. Strana legge, per una città sviluppata sulla trasgressione…
Pobre Mexico, tan lejos de Dios, tan cerca de los Estados Unidos…
Passeggiamo, senza birra e senza meta, cercando cosa vedere a Tijuana, lasciandoci trasportare da un suono, da un colore, da un palazzo che suscita curiosità. L’unico palazzo che ricordo è il Jai Alai, stadio del gioco basco della pelota, davanti al quale sorge il monumento, appunto, al gioco della pelota.
Percorriamo le strade a ritroso, per rientrare negli USA. Questa volta l’ingresso non è così semplice come all’andata. Per lo meno per la maggior parte delle persone in attesa.
La frontiera in entrata negli Stati Uniti è ben definita, chiara ed inequivocabile. I tanti latinos che hanno tentato di “equivocarla” ne ha pagato pesanti conseguenze.
Due file per i pedoni: passaporti dell’America Latina; passaporti USA e altri.
La seconda fila è piuttosto scorrevole. La prima fila è infinita, affollata, immobile.
L’attesa per i controlli dei latino-americani è lunga come la loro pazienza.
Il nostro passaporto ci agevola nei tempi e nei modi. La gentile poliziotta di frontiera ci chiede da quale parte d’Italia veniamo. Rispondiamo Verona. Inizia una lunga e piacevole chiacchierata in stretto dialetto veneto. E’ originaria di Cerea, profonda campagna veronese, abbandonata oltre trent’anni prima. Piccolo, il Mondo, in fin dei conti…