Vedi, quanno ero giovane io ce stava ‘na cosa sola da magnà. Mò ce n’avete dieci da sceglie’, ma ‘na vorta no”. Questo è l’inizio della risposta alla mia domanda “cos’è il picchiapò”?!
Quindi ho imparato che quando la mamma preparava il bollito, conservava il manzo avanzato e la sera lo saltava in padella con un po’ di pomodoro e una puntina di peperoncino. Quel leggero piccante “picchia un po’”, da cui il nome rimasto.

“Pareva n’arta cosa, ma sempre quella era!”

Ecco la romanità più autentica, quella che adoro anche se un po’ rude, quella dai modi e dai toni sbrigativi. Quella di Sergio, che al banco numero 15 del Mercato di Testaccio propone panini imbottiti di quanta più romanità possibile.

Panini con la trippa, con “l’allesso”, con il sugo dell’amatriciana o del cacio e pepe. E poi i carciofi, la coratella e tutto quello che vi può venire in mente! Ma sempre rigorosamente romano.

Si chiama “Mordi e vai” e se vi capita di passare da queste parti, non perdetevelo per nulla al mondo! Né i panini, né due chiacchiere con Sergio. Non ve ne pentirete.

Il Mercato di Testaccio si trova in Via Franklin, proprio davanti al Macro, il nuovo spazio espositivo ricavato nel vecchio macello. La sede attuale risale al 2012 quando si decise (non senza qualche iniziale perplessità) di trasferire i vecchi e malconci banchi di uno dei più antichi, amati e “veraci” mercati romani. Tutte le novità, si sa, spaventano un po’.

In realtà l’attuale sede è molto funzionale e architettonicamente piacevole (soprattutto all’interno); al centro una piazzetta che ospita qualche bar e molte chiacchiere, mentre la disposizione dei banchi è suddivisa per categorie di prodotto. Più all’esterno i banchi del pesce, poi frutta e verdura, la carne e infine i prodotti da forno e lo streetfood. Dall’altro lato, abbigliamento e prodotti per la casa.

I mercati sono sempre un’occasione per un viaggio nel pensiero locale. Già, nel “pensiero”, perché è nei posti più autentici che si scopre la filosofia di un popolo. Salvo qualche raro avventuroso straniero, nessun turista all’orizzonte: solo anziane signore romane che scelgono la frutta o chiacchierano; un gruppetto di signori non più giovanissimi che osservano la gente che passa, regalandosi qualche commento colorito; qualche mamma con carrozzina seduta al bar o semplicemente su una delle sedie a disposizione di chiunque.

E tutti quei colori e quel vociare, in assenza di turisti fa pensare che quello sia proprio il posto giusto per lasciarsi trascinare con fiducia.

Del resto anche Sergio me l’ha detto: “Sei mai venuto da ‘ste parti? Hai mai magnato un panino da me? E allora nun me chiede gnente. Te devi fidà!”.

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