Le sferzate gelide del vento dell’oceano non danno tregua. Piegano impietose l’erba, gli alberi e il collo di chiunque osi sfidarlo.
La terra, alle Isole Aran, non è amica. Le onde increspate dell’oceano, la temperatura rigida, le nuvole che danzano e viaggiano, in una folle alternanza di grigio e raggi di sole e poi pioggia a ancora sole. Troppo pallido per riscaldare.Mi accoglie Inis More,dopo una traversata per stomaci forti. Non ho programmi, perché le Isole Aran non sono fatte per programmare, ma per lasciarsi portare.

Isole AranRaggiungo a piedi l’ostello che mi ospiterà. Lo gestisce un giovane australiano dalla barba incolta e i capelli lunghi, scappato dalla “terra di sotto” per stabilirsi qui, nel mezzo di questo irrequieto e verdissimo nulla.

Isole AranLe Isole Aran ti vuotano i pensieri. Mi chiede subito se voglio cenare con loro. Accetto molto volentieri. Scoprirò solo a cena che “loro” sono una coppia di giovani sposi tedeschi, una ragazza svizzera in giro per l’Europa e un ragazzo americano. E naturalmente l’australiano. Tutti ospiti dell’ostello.

Un tavolo unico, rotondo. Stesse portate per tutti, birra e chiacchiere. Poi, tutti insieme, verso il pub al centro dell’isola, con le torce per illuminare lo stretto budello di strada tra i muretti a secco. E una volta arrivati, ancora birra, ancora chiacchiere con chiunque varchi la porta del locale. Qui ancora si parla il gaelico, ancora lo si insegna nelle scuole.

Isole AranLe Isole Aran ti vuotano la mente e ti fanno riappacificare con te stesso e forse anche con tutto il resto del Mondo. Il verde è un colore rilassante. E qui, di verde, ce n’è fin dove arrivano gli occhi. Un verde intenso, pieno, che odora di pioggia e di erba umida.

Isole AranPrendo a prestito una bicicletta e pedalo, sotto la pioggia, lungo i saliscendi che portano alle scogliere. Uno strapiombo mozzafiato sulle onde dell’oceano, da maneggiare con cautela.

Mi sdraio per terra e striscio fin a sporgere con la testa. Giusto il tempo di una sbirciatina, prima di ricordare che potrei soffrire di vertigini… invece realizzo subito che è marzo e che in giro per l’isola non c’è quasi nessuno e che sull’orlo del precipizio sono da solo…meglio indietreggiare…

A parte il piccolo agglomerato urbano intorno al porto di Kilronan, in tutta l’isola ci sono solo piccole casette sparse, che ospitano i circa 800 abitanti.

In alcune di queste case si producono i famosissimi maglioni. Sono di lana spessa, adatta a riparare dalle lamine aguzze del vento. Ogni famiglia dell’Isola ha un proprio disegno o un proprio stemma da ricamare sui maglioni. E’ il simbolo distintivo della famiglia e, si dice, serviva un tempo per riconoscere il nucleo familiare delle vittime dei naufragi.
Molti di questi disegni richiamano antiche superstizioni che, qui più che altrove, faticano ad essere abbandonate. E il motivo lo si può capire visitando il sito preistorico di Dun Aengus, suggestivo ed inquietante nella sua maestosità.

Ancora una sera, ancora le torce ad illuminare la strada, ancora il pub al centro dell’isola e le conversazioni dietro ad una pinta. Una sorta di rituale che si ripete, sera dopo sera…

Rientro a Galway, punto di partenza, tre giorni dopo rispetto a quanto inizialmente  previsto. Galway era un villaggio di pescatori: gente concreta, forse un po’ rude ma sicuramente molto affezionata alla loro terra e soprattutto al loro mare.

Oggi la cittadina è un’esplosione di vivacità, musica e alcol, grazie anche all’Università che garantisce un costante afflusso di giovani nei numerosi locali della zona. Cittadina dove non è difficile trascorrere serate piacevoli all’insegna del divertimento.

GalwayL’esuberanza più sfrenata di Galway e la tranquillità più rilassante delle Aran: due realtà opposte che un braccio di mare rende complementari.

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